“Il comma 3-quater dell’art. 32, così come il precedente comma 3-ter, sono da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti)” (Cass. Civ. sentenza del 26 settembre 2016 n. 18.773).
Il danno permanente alla salute è provato anche in via presuntiva, se ricorrono indizi gravi, precisi e concordanti della sua esistenza e della genesi causale (Cass. 31072/2019).
I giudici di legittimità ribadiscono il proprio orientamento in tema di risarcimento del danno per lesioni micro-permanenti (pari o inferiori al 9%) che, statisticamente, sono le più numerose. La norma (art. 139 Cod. Ass.) subordina la risarcibilità delle lesioni di lieve entità ad un “accertamento medico legale”; tale espressione deve interpretarsi nel senso che il danno biologico permanente vada acclarato con l'applicazione rigorosa dei criteri insegnati dalla medicina legale, non limitati però ai soli referti di esami strumentali, ma ammettendo anche fonti di prova diverse, come le presunzioni (purché gravi, precise e concordanti).
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